UFFICIO NAZIONALE PER LE COMUNICAZIONI SOCIALI
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

A che età il cellulare?

L’hanno chiamato «Disconnect lab»: un ciclo di tre appuntamenti, il mese scorso, per parlare a genitori e adulti dell’utilizzo delle tecnologie digitali, seguendo come modalità non la conferenza frontale, ma l’incontro-laboratorio.
13 Dicembre 2016

L’hanno chiamato «Disconnect lab»: un ciclo di tre appuntamenti, il mese scorso, per parlare a genitori e adulti dell’utilizzo delle tecnologie digitali, seguendo come modalità non la conferenza frontale, ma l’incontro-laboratorio. La proposta è venuta da due parrocchie che hanno preso sul serio la sfida dell’educazione all’uso responsabile dei new media, San Donnino Martire in Montecchio Emilia e la vicina San Giuseppe in Aiola (Reggio Emilia), insieme alla Scuola Santa Dorotea. I presenti, numerosi, si sono lasciati coinvolgere nelle serate all’Oratorio Don Bosco di Montecchio. «Abbiamo messo in rete diverse agenzie educative del territorio – spiega don Giancarlo Minotta, giovane vicario parrocchiale – a partire dagli interrogativi che attraversano la mente di tanti genitori: a che età comprare il cellulare al figlio? Quanto tempo lasciarglielo usare? È bene che abbia un profilo Facebook? E l’uso degli altri social network? Domande acuite dalla difficoltà di sentirsi spesso rispondere: 'Ma voi siete gli unici che non me lo lasciano fare. I miei amici possono tutti...'. Nessuna pretesa di esaurire l’argomento: l’obiettivo era cominciare a prendere consapevolezza di alcuni aspetti irrinunciabili. A dare una mano alla comunità ecclesiale ci ha pensato «My.Me», associazione culturale che si occupa di formazione alla media education, che ha sviluppato il tema della Famiglia 2.0 sotto il profilo delle relazioni, delle dinamiche psichiche (fino a parlare di nuove patologie) e delle coordinate legali per una corretta fruizione del Web. Connessi in Rete, sconnessi nella vita? Il nocciolo della questione è educativo. «Per gli adolescenti non esiste una netta separazione tra offline e online, e il profilo digitale, declinato su più applicazioni di social networking, diventa parte integrante della quotidianità, in una piazza pubblica divertente ma pericolosa perché anonima e incontrollata», spiega Alberto Sabatini, presidente di My.Me, giornalista e media educator. «Le emozioni, le gioie, le tristezze, gli aspetti più intimi della persona, che un tempo erano riconducibili esclusivamente alla sfera privata, diventano condivisibili e pubblici, trasformando la vita in un palinsesto dell’esistenza. Perciò credo che il problema più evidente – continua Sabatini – non sia l’iperconnessione fornita dai device di ultima generazione, ma la mancanza di un’educazione all’utilizzo critico delle nuove tecnologie, un percorso che dovrebbe iniziare dal contesto familiare, troppo spesso distratto e incapace di un chiaro ascolto emotivo».

Da Avvenire del 13 dicembre 2016, pag. 28